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Anno nuovo, rubrica nuova. O meglio, prosecuzione della precedente ricerca che ci ha impegnato per oltre un anno e mezzo nel visitare ed intervistare gli architetti nelle case che hanno realizzato per loro stessi.
Questa prima indagine ci ha permesso di comprendere meglio una serie di aspetti sull’idea di domesticità ma soprattutto sull’approccio, abbastanza differente rispetto alla consuetudine professionale, nel progettare, vivere ed abitare la casa quando il cliente è l’architetto stesso. Se potessimo sintetizzare con una parola l’approccio che ci è parso accomunare tutti gli esempi di case che abbiamo visto, dovremmo scegliere probabilmente il termine “leggerezza”, nel senso di una consapevolezza che in fondo, lo spazio e la luce sono i grandi protagonisti e poi l’arte sta nel vivere, nell’accostare, nel sedimentare con gusto e con spensieratezza. Bene, ma se avete letto i dieci articoli già pubblicati, certamente lo avrete capito che ora torniamo a parlare di questa nuova rubrica, battezzata col titolo di “progetti di vita”.
Ci mancava un tassello e abbiamo deciso di fare un totale cambio di punto di vista. Dopo avere messo al centro per molto tempo gli architetti, abbiamo deciso di concentrarci sulla committenza, nella consapevolezza che in ogni caso il centro reale resta sempre l’architettura. Ci siamo dati l’obbiettivo di visitare delle case di grande valore architettonico, pezzi della storia dell’architettura dell’abitare nel nostro territorio; parlare con i loro proprietari cercando di indagare le loro scelte e comprendere come lo spazio che abitano è un loro alleato nella vita quotidiana.
L’Architettura con la A maiuscola è davvero governata dalla triade vitruviana di firmitas utilitas venustas (solidità, utilità e bellezza). Quello che vogliamo sottolineare in questo caso è il concetto della firmitas, intesa come qualità che fa sì che l’architettura duri nel tempo, in un tempo lungo e non breve, un tempo che supera la singola generazione. Ed è così che i proprietari di queste architetture, anche se non se ne rendono forse conto, sono più dei custodi il cui compito è quello di mantenere nel tempo queste case conservandone la loro bellezza e rinnovandole, attualizzandole in modo che continuino ad essere edifici utili ai loro abitanti.
La casa storicamente viene denominata “Casa Manzano” realizzata a Udine dall’architetto Gino Valle tra il 1965 ed il 1966 per la famiglia Manzano. E’ una casa contemporanea ma ha un tetto a falde, le finestre sono di proporzioni classiche, le murature esterne sono lavorate a fasce marcapiano ed anche il colore rosso in fondo appartiene ad una cromia che è possibile ritrovare nella propria memoria.
Una casa progettata come un percorso nel quale rampe e scale si susseguono quasi senza soluzione di continuità fino in copertura. Una casa che segue alcuni dettami lecorbuseriani quali il tetto giardino, la pianta libera, le finestre a nastro e che allo stesso tempo mette in gioco, già nel 1966, alcuni stratagemmi di sostenibilità quali la serra bioclimatica che conclude il corpo scale.
Un casa che non è più “Manzano” e che gli attuali proprietari hanno voluto adattare alle loro esigenze ed attualizzare, sempre nel rispetto del progetto originario, affidandosi ad un altro architetto di grandissimo valore e capacità quale Federico Marconi.
Com’è nata l’idea di acquistare una casa di un architetto? Da che case arrivavate? Una casa importante e famosa nel panorama dell’architettura a Udine: la conoscevate? Come è nata la scelta dell’architetto che vi ha progettato gli interni? Com’è stato il rapporto con lui?
Vivevamo in un appartamento ristrutturato con molto gusto dall’arch. Enrico Franzolini, le cui dimensioni però non erano più adatte per la nostra famiglia. Cominciammo a cercare una casa più spaziosa, che avesse un giardino e la possibilità di ricavare un appartamento, indipendente ma comunicante, per un aiuto domestico fisso che era diventato necessario visti i nostri impegni di lavoro ed i nostri tre figli. ed i nostri tre figli. Conoscevamo la casa, che sapevamo essere stata messa in vendita. La visitammo, ma in un primo momento il suo recupero ci parve un progetto davvero impegnativo. Qualcosa poi ci spinse a rivederla e capimmo che era il luogo in cui avremmo voluto vivere.
Acquisimmo la disponibilità ad assisterci nella realizzazione del progetto di recupero dell’arch. Federico Marconi che ci aveva già seguiti nella sistemazione degli spazi dello studio e del quale avevamo piena fiducia. Eravamo certi che la sua sensibilità, cultura e la sua capacità professionale potessero consentire di adattare al meglio la casa alle nostre esigenze, soprattutto per quanto riguardava la progettazione degli interni, senza snaturarne lo spirito. Aveva più volte collaborato con l’arch. Gino Valle e ne era stato amico, ritenevamo che questo costituisse la garanzia che l’intervento sarebbe stato rispettoso del progetto originario. E così è stato.
Il rapporto con l’arch. Marconi, che fu affiancato dall’arch. Massimo Rizzi, fu ottimo, è una persona squisita, molto colta. E’ un professionista decisamente convinto delle sue idee e risoluto nel farle accettare dai suoi clienti, quindi ci parve da subito chiaro che la scelta migliore fosse quella di affidarci completamente a lui e alle sue scelte, limitandoci a chiarire con precisione quali fossero gli obiettivi che avremmo voluto ottenere in termini di spazi e di sensazioni che la casa doveva comunicare.
Volevamo ricavare una camera per ciascuno dei nostri figli e che ciascuna camera avesse un suo bagno, tutti con finestra. Inoltre desideravamo una casa semplice, dove i ragazzi potessero sentirsi liberi, ma al tempo stesso volevamo che fosse una casa piacevole ed elegante, ove l’eleganza fosse dipesa non dalla preziosità degli arredi bensì dall’armonia dei colori utilizzati, dalla presenza di una luce radente, dall’equilibrio dei volumi.
L’arch. Marconi volle, a ragione, utilizzare solo tre colori, il beige della pietra d’Istria a pavimento, il faggio semievaporato per tutta la falegnameria della casa, boiserie comprese, e il “rosso Valle” utilizzato per gli esterni e per molti particolari all’interno.
La nostra iniziale ritrosia ad usare la pietra quale unico rivestimento per i pavimenti, venne superata proprio grazie alla fiducia che riponevamo nel progettista: oggi possiamo dire con convinzione che la combinazione di questi tre colori e l’uniformità del loro utilizzo in tutti i locali della casa, hanno consentito di ottenere un involucro molto neutro e accogliente, anche nelle camere. Crediamo che la sintesi corretta sia questa: è importante scegliere un Professionista e farlo con molta attenzione, verificando che il suo approccio, le sue idee e il suo gusto siano allineati ai propri ed è altresì importante comunicare con molta chiarezza quale debba essere il risultato che si vuole raggiungere suo tramite, ma è poi necessario rispettarne la libertà progettuale: solo in questo modo il risultato potrà essere il migliore possibile.
Fareste ancora le stesse scelte?
Sì, con convinzione. L’intervento ha uno spirito anni 50-60 reinterpretato in chiave contemporanea che ci piace ancora molto e che rende la casa senza tempo. Potrebbe essere stata disegnata ieri come cinquanta anni fa.
Le soluzioni degli architetti, sono state filtrate nel tempo dal nostro gusto nella scelta degli elementi di arredo, mescolando quanto da loro disegnato con sedute e oggetti di design contemporaneo, lampade vintage coeve alla casa e qualche oggetto di antiquariato appartenente alla nostra famiglia. Ci è sempre rimasta la curiosità di verificare quale sarebbe stato l’effetto che si sarebbe potuto ottene – re partendo da un progetto di valore e affidandone la ristrutturazione a un architetto con un budget limitatissimo: se è vero, come crediamo, che il pregio di una casa stia soprattutto nei suoi volumi, nella luce che la pervade e nell’armonia dei colori, dovrebbe essere possibile raggiungere questo risultato anche con materiali e arredi “poveri” destinando la parte consistente del budget complessivo così risparmiato all’acquisto di opere d’arte. Sarebbe un esperimento interessante. destinando la parte consistente del budget complessivo così risparmiato all’acquisto di opere d’arte. Sarebbe un esperimento interessante.
Come vivete gli spazi?
Viviamo la casa con molta disinvoltura, volevamo una casa comoda che non rappresentasse in alcun modo un vincolo. È abbastanza grande da consentire a ciascuno di avere il proprio spazio ma amiamo ritrovarci tutti assieme in soggiorno con il camino acceso a chiacchierare o a leggere.
Abbiamo fatto la scelta di non inserire il televisore in soggiorno destinandolo a quella che un tempo era la “sala giochi” dei bambini; questo rende molto più facile i momenti di conversazione, di lettura e di ascolto di buona musica, per noi alcuni dei veri lussi della vita.
Anche la cucina è uno spazio che viviamo molto anche perché tutti noi apprezziamo il buon cibo e sedersi a tavola assieme è sempre una gioia. I ragazzi amano molto questa casa: due di loro studiano all’estero ma sono sempre felici di farvi ritorno, è un luogo che dà loro sicurezza. Per come è stata concepita è anche una casa che si presta ad incontrare gli amici, ha spazi esterni molto piacevoli, ci piace organizzare delle cene, sempre in un clima informale e accogliente.
Avete percepito e percepite una differente qualità di vita in questi spazi?
È una casa molto adatta alle nostre esigenze di vita, che rispecchia la nostra personalità e nella quale è piacevole vivere. Se le esigenze dovessero cambiare dovremmo cambiare casa: credo sia essenziale tenere sempre presente che, per quanto possa costituire un investimento importante per una famiglia, per quanto possa essere centrale nell’organizzazione della propria vita, una casa non deve mai perdere la sua funzionalità in relazione alle esigenze contingenti, non deve diventare un vincolo: Platone diceva che l’utile deve essere perfetto. per l’uso (e l’inutile assolutamente straordinario!).
Questi luoghi hanno influito nel vostro modo di vita quotidiano, nel vostro umore, nello sviluppo di passioni o interessi? In sintesi, credete che la casa abbia in parte contribuito alla vostra maturazione come individui?
La casa ha influito nel nostro modo di vita quotidiano nel senso che, essendo molto comoda e piacevole, lo ha semplificato. Non credo abbia contribuito allo sviluppo di passioni, il nostro interesse per l’architettura era preesistente e la cura che abbiamo adoperato nell’arredarla è più figlia del nostro carattere che un’influenza della casa: personalmente sono convinto della verità dell’asserzione di Mies Van Der Rohe che Dio è nei dettagli e questo approccio lo avremmo usato qualunque fosse stata la casa da vivere. Non credo quindi che la casa abbia contribuito alla nostra maturazione come individui, ma costituisce un involucro ideale per trascorrere del tempo con la famiglia, leggere, scrivere, lavorare, ascoltare musica, incontrare gli amici, ovvero per molte delle attività piacevoli nella vita di una persona. A parte una persona. A parte viaggiare: una volta lessi lo slogan di una pubblicità che diceva: “dobbiamo percorrere il mondo e amare la nostra casa”. Credo sia molto vero. E per poterla amare ritengo sia necessario cercare di renderla bella, qualunque essa sia e pur ovviamente in un’accezione soggettiva del termine. Se alla bruttezza ci si abitua, ci si rassegna, la bellezza è un’emozione che si rinnova, uno stupore che perdura e che consente, se non di sviluppare una passione, di mantenerla viva e attraverso essa capire più facilmente quali siano i propri talenti: propri talenti: la bellezza è una chance e va ricercata e coltivata. una famiglia, per quanto possa essere centrale nell’organizzazione della propria vita, una casa non deve mai perdere la sua funzionalità in relazione alle esigenze contingenti, non deve diventare un vincolo: Platone diceva che l’utile deve essere perfetto per l’uso (e l’inutile assolutamente straordinario!).

Articolo per conto dell’Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Udine apparso sul n°102 della rivista VistaCASA  gennaio-febbraio 2021

Fotografie: Elia Falaschi