In questo numero Tommaso Michieli e Filippo Saponaro per conto dell’Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Udine ci accompagnano in una visita a casa di Giuseppe Zigaina, artista friulano di cui non è necessario sottolineare la straordinaria importanza nel contesto dell’arte contemporanea italiana del ‘900.
Questa nuova indagine va a cercare di comprendere un nuovo tipo di committenza, decisamente particolare, quella dell’artista. Che a tratti può apparire affine all’architetto, che è stato già abbondantemente analizzato in questi anni, ma a ben vedere è caratterizzata da sensibilità ed approcci al domestico decisamente autonomi la cui comprensione può divenire di grande utilità per vedere il progetto della casa da una differente prospettiva.
La casa che ci troviamo dinnanzi, dopo La casa che ci troviamo dinnanzi, dopo avere superato un cancello metallico giallo, unico segnale nel fitto di un’alta siepe che tutto cela allo sguardo del passante, non è una casa. O meglio non lo è in senso stretto. Ci troviamo infatti davanti ad un sistema di spazi, ad una sorta di borgo articolato con una certa complessità. Un luogo che ci invita ad essere scoperto lentamente. In questo ci facciamo guidare da Alessandra Zigaina, figlia dell’artista che porta dopo porta ci svela ricordi della sua vita in questi luoghi e ci permette di comprendere meglio questo particolare universo.questo particolare universo. Per cominciare tuttavia è probabilmente necessario citare quanto detto da Giuseppe Zigaina in un’intervista televisiva di qualche anno fa. Parole che ci fanno comprendere meglio quando tutto abbia avuto inizio e la ragione intrinseca alla fondazione di questo luogo che stiamo scoprendo.
“Io sono nato qui, a Cervignano del Friuli, a 300 metri da questo studio. Sono nato nel 1924 e a un certo punto, per delle ragioni oscure e misteriose che ho tentato di comprendere senza riuscirci, ho deciso che da qui non mi sarei mai mosso. Questa decisione, che è stata molto importante, forse la più importante della mia vita, ha comportato molti svantaggi però, io credo, anche molti vantaggi. Ricordo molto bene quando ho preso questa decisione: era verso sera e stavo guardando verso la laguna dove c’era questo, solito, particolare chiarore. Improvvisamente mi è come venuta in mente l’immagine dell’angelo del campanile di Grado … Ecco da quella volta (credo fosse il ‘51 o ’52) ho deciso di costruire una casa con lo studio, proprio qui a Cervignano. E così, come ho sempre fatto, mi sono buttato. Mia madre diceva sempre che – per carattere – prima mi buttavo e poi guardavo dove stavo per cadere. E’ andata così anche quella volta: ho cominciato a costruire la casa, con un enorme studio, disegnata dall’architetto Midena di Udine. E quando ero a metà dei lavori non avevo più soldi per finirla.”
Zigaina sta parlando non della casa che stiamo visitando bensì della prima casa realizzata sempre a Cervignano per lui ed i suoi genitori. Tuttavia quello che emerge come dato fondamentale è la volontà di rimanere nel luogo di nascita nonostante le molte occasioni che forse perderà. Ad esempio sceglie, invece di raggiungere a Roma l’amico Pasolini, di rimanere in quel paese di “primule e temporali” che è Cervignano. Tutto ciò nella consapevolezza di avere certamente molti svantaggi ma anche molti vantaggi. Se gli svantaggi appaiono evidenti, al contrario i vantaggi sono meno chiari. Noi quindi li identifichiamo in quell’opportunità di modellarsi un proprio ecosistema con un grado di libertà non realizzabile in altri contesti.
La costruzione di tale mondo è quello che oggi vediamo davanti a noi. Infatti poco dopo aver completato la casa condivisa con i genitori il suo spirito evidentemente inquieto lo spinge alla decisione di realizzare una nuova casa tutta per sé, come scrive in una lettera all’amico Antonello Trombadori
“Ho deciso di sposarmi e di farmi una vita assolutamente mia da dedicare pienamente e totalmente al lavoro…”
Si trova a questo punto a dover decidere a chi affidare l’incarico della realizzazione della sua nuova casa e dopo aver riflettuto, non conferisce l’incarico ai molti bravi architetti friulani che conosceva e frequentava tra cui Marcello D’Olivo, Gino Valle, Gianni Avon o il cervignanese Costantino Dardi, al contrario decide di affidare il progetto per la realizzazione della propria nuova casa con laboratorio ad un architetto non locale. Lo individua in Giancarlo De Carlo, conosciuto alla X Triennale di Milano e con il quale condivide un medesimo interesse per una lettura attualizzata della tradizione in particolare nella comprensione e valorizzazione dei suoi elementi essenziali. Non a caso Zigaina, forse a seguito della precedente esperienza con Midena nella quale era stato committente più passivo, decide di avviare con De Carlo una collaborazione immediatamente attiva indicando a questo una precisa tipologia architettonica da seguire:
“Chiesi a De Carlo di progettarmi una casa semplice, elementare. E per spiegarmi meglio, gli indicai – quando venne la prima volta a vedere il terreno – una vecchia abitazione di contadini alla periferia di Cervignano: una casa bassissima che si snoda a U per chiudere nel cortile interno un grande albero; mentre il tetto sporge per tutto il perimetro a formare un portico sostenuto da pilastrini intonacati”
Il rapporto tra i due è intenso e l’artista è costantemente impegnato nella collaborazione progettuale attiva. Per chi volesse approfondire consigliamo la lettura del saggio di Alberto Franchini “Un tipo particolare di committente. Zigaina e l’architettura domestica” presente nel volume “Si inizia sempre così” a cura di Francesca Agostinelli e Vania Gransinigh. Avventurarsi attraverso il primo corpo di fabbrica, progettato con De Carlo, è prima di tutto un’esperienza sensoriale. Si comprende immediatamente come in questo caso la complessa configurazione spaziale, certamente frutto della mano dell’architetto, si rafforza e sostanzia di quell’attenzione per la materia e la luce, che forse proviene dall’artista.
La complessa geometria planimetrica composta da cellule ottagonali, opportunamente deformate per allinearsi ed essere coperte da un ampio tetto a falde è certamente valorizzata e resa domestica dalla grana degli intonaci che rende più vibrante e chiaroscurale la luce che penetra tra i differenti volumi.
C’è un che di giapponese in questi spazi fatti di ombre e di ruvidità, di legno e pietra accostati, fatti di porte che separano ma allo stesso tempo connettono, fatti da diaframmi di luce e soprattutto fatti da un luogo conviviale nel quale le sedie scompaiono e ci si accomoda a terra attorno ad un fuoco incassato rispetto al pavimento, a ricercare quell’atavica esperienza di incontro tra uomini. Lo studio è altro, uno spazio nella casa ma fuori dalla casa. Bisogna aprire due porte per entrarci, due porte aderenti l’una all’altra il che ci racconta del fatto che Zigaina aveva la possibilità di chiudersi ed isolarsi dalla famiglia in questo suo ulteriore mondo. Tant’è che sempre lui ci dice “Non ho mai avuto nella mia vita regole, il che vuol dire aver avuto molti doveri, il che significa essere stati ossessionati dal tempo. Mi sono sempre alzato quando ho voluto, e quindi molto presto al mattino.”
Ed infatti lo studio ha anche una sua zona dove l’artista poteva dormire, probabilmente per avere la possibilità di smettere o iniziare a lavorare quando voleva senza disturbare il resto della sua famiglia. Ma non è solo questione pratica è questione metodologica, la casa diviene strumento per raggiungere quegli stati mentali necessari alla produzione artistica.
La casa progettata con De Carlo viene conclusa nel luglio del 1959 ma già dal 1964 Zigaina mette in campo una serie di iniziative progettuali che si concretizzeranno nella costituzione di quello che lui e l’amico geometra Ado Buiatti chiameranno l’Ups, “L’Ufficio Progettazioni Notturne” che sarà pienamente attivo fino al 1977 realizzando il complesso di edifici che ora costituiscono quanto si mostra ai nostri occhi.
Quello che visitiamo oggi è quindi la stratificazione per frammenti di molte vicende differenti che si sono succedute nell’arco di quasi trent’anni. Zigaina parte da una decisione consapevole e meditata, quella di non lasciare il territorio dove è nato, lo fa sapendo che tale scelta gli avrebbe precluso molte opportunità ma allo stesso tempo comprende le opportunità insite nella costruzione di un luogo da “dedicare pienamente al lavoro”, decide di avventurarsi nella realizzazione di un ecosistema abitativo nel quale sia possibile risolvere tutti i problemi di ordine pratico legati alla quotidianità e di conseguenza essere nella condizione di raggiungere quello stato di assoluta concentrazione necessario ad essere pienamente artista.
Il risultato è quella che oggi ci appare davvero come un’agorà, una piazza verde, dove in primavera nascono primule e margherite ed attorno alla quale si trovano differenti edifici ciascuno destinato ad una precisa funzione. Funzioni che si avvicendano ed emergono nel corso del tempo seguendo le necessità stesse dell’artista intento a realizzare il suo universo entro cui poter equilibrare i differenti poli della sua esistenza come individuo: la famiglia, il lavoro pittorico, la realizzazione delle cornici, lo spazio per la scrittura, l’accoglienza degli amici. Un microcosmo autonomo, lontano dai grandi centri ma allo stesso tempo carico di una potente energia attrattiva che fa sì che questi diventino luoghi d’incontro di quella élite culturale indispensabile ad alimentare il suo animo d’artista.
E così per quanto di grandissima qualità l’edificio di De Carlo non ci sorprende quanto gli altri edifici che troviamo straordinariamente interessanti proprio perché pensati e realizzati autonomamente da Zigaina (assieme all’amico Buiatti). Committente che nel corso del tempo ha questo lento ma costante processo di autoaffermazione ed emancipazione dalla figura dell’architetto.
In effetti Zigaina scrive: “Riflettendo sui due anni di intensa collaborazione, mi sono accorto che l’origine della mia incertezza era dovuta, alla fine, alla mia radicata ed inconscia convinzione che un uomo – non solo un artista – la casa, deve disegnarsela da solo: magari con le difficoltà e la leggerezza di un uccello che si fa il nido. Più tardi, costruendo un corpo di alleggerimento delle funzioni abitative, me ne accorsi. Fu un gioco bellissimo: l’inveramento di un sogno fatto molte volte, da bambino”
“Un uccello che si fa il nido” non resta un’immagine poetica ma nel lavoro di Zigaina-Buiatti si fa materia si fa edificio tanto che l’ultimo fabbricato che realizzano, destinato ad ospitare dei magazzini ed una stanza con un forno da pizza ed un piccolo spazio conviviale, ha esattamente tutte le pareti realizzate attraverso l’accatastamento della legna che è allo stesso tempo, parete, materiale per accendere il fuoco e decoro, esattamente con lo stesso principio con il quale gli uccelli realizzano i loro nidi.
Ma sempre con lo stesso principio della raccolta e costruzione, realizza un edificio la cui funzione iniziale è quella di ospitare un antico torchio che ne diviene il centro ed attorno al quale crescono le pareti ed un tetto quasi fossero una tenda. Un edificio che ospita un grande oggetto e che ha la funzione di ospitare gli amici, come Pier Paolo Pasolini che più volte ha dormito sul soppalco interno a questo edificio, soppalco realizzato con materiali di recupero e che riproduce una delle scene realizzate da Zigaina per una Carmen andata in scena negli anni Settanta al teatro lirico di Trieste.
E’ evidente come Zigaina nella sua attività di progettista osservi e sia influenzato dalle vicine esperienze dell’architettura friulana di quegli anni, le murature in sassi dei nuovi corpi di fabbrica sembra seguano le ricerche cdi Carlo Mangani, sdrammatizzate dall’uso del colore giallo.
Alcuni slittamenti e gestione dei pieni e dei vuoti, piuttosto che delle travi in cemento armato non possono che far pensare alla vicina casa Bortolotto progettata da Angelo Masieri.
Questo viaggio ci lascia quindi il ritratto di un uomo che opera costantemente delle scelte molto precise e che sulla base di queste avvia una sua personale avventura fatta per prima cosa di comprensione di un contesto culturale, di studio e collaborazione con gli architetti che sceglie accuratamente comprende e rispetta ma dai quali sente la necessità ma anche la responsabilità di liberarsi per poter esprimere la propria individualità finalizzata a costruire un nido da cui poter spiccare il volo.
Articolo per conto dell’Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Udinea pparso sul n°109 della rivista VistaCASA marzo-aprile 2022
Fotografie: Elia Falaschi